EcoMuseo delle trincee della Lessinia

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(fonte: dalla rivista di Apindustria Verona, «Economia Veronese», n. 2-2014)  Il centenario della Grande Guerra è un anniversario che ricorda uno dei momenti più toccanti della nostra storia: l’Italia, unita da appena cinquanta anni, entrò in un conflitto nel quale gli italiani, provenienti da ogni parte del Paese, combatterono fianco a fianco nelle medesime, durissime condizioni. I quattro anni di ostilità produssero una profonda trasformazione del tessuto sociale, politico, economico e civile del nostro Paese che ha pagato un pesante tributo in vite umane con 750.000 morti tra caduti in guerra (680mila) e civili. Questo evento bellico occupa uno spazio molto significativo nella memoria collettiva nazionale perché ha radicalmente cambiato il corso della storia contemporanea. La Grande Guerra è ancora oggi così coinvolgente ed emozionante per la presenza di innumerevoli tracce nei luoghi dove è stata combattuta e vissuta. In Lessinia, precorrendo le celebrazioni del centenario, già nel 2008 un evento di grande successo ricordava la prima guerra mondiale. Il geometra-alpino Flavio Melotti affiancato dai gruppi alpini di Bosco Chiesanuova e Sona, allestirono a Bosco Chiesanuova una mostra di reperti storici della guerra di trincea in Lessinia affiancata da un’esposizione fotografica dei siti che custodivano le vestigia di quel periodo.

«La mostra – ricorda Flavio Melotti – ebbe, in pochi giorni, un incredibile successo di pubblico. Fu una carica di energia per noi organizzatori e ci rinforzò nell’idea che era necessario fare anche di più. Fu questo evento che diede il la al nostro progetto di realizzare un ecomuseo e di far inserire il percorso alla scoperta delle trincee della Lessinia nell’ambito delle iniziative patrocinate dalla Regione Veneto per la valorizzazione dei luoghi che sono stati testimoni della guerra. Pur non essendo stata direttamente coinvolta nelle azioni belliche, l’area lessinica ha rivestito un ruolo importante come linea difensiva, disseminata di forti e postazioni realizzati tra il1885 e il 1911 con grande dispiego di mezzi e uomini». La militarizzazione dell’area pre-alpina portò a profonde trasformazioni del territorio, con la realizzazione di una efficiente rete stradale per il rapido spostamento di truppe e di mezzi motorizzati e per il trasporto delle armi pesanti e delle munizioni e con la costruzione di ponti, acquedotti, linee telefoniche, caserme, comandi ospedali, polveriere. Le malghe e le abitazioni diventarono caserme e i paesi conobbero una nuova economia, quella dei servizi di guerra.

Ma se molte delle opere stradali realizzate allora sono utilizzate ancora oggi, come riportare invece alla luce altre testimonianze di guerra rimaste così a lungo abbandonate?

«La gente della zona – spiega Melotti – ha sempre saputo con precisione dove erano localizzate trincee e altre postazioni. Il nostro è stato però un vero lavoro di ricerca scientifica, attraverso la consultazione di tutta la documentazione e le cartografie relative alla nostra zona conservate presso l’archivio del Genio Militare. Una volta effettuate le rilevazioni e risaliti a quelle che erano le specifiche dei progetti originali, non rimaneva che ‘liberare’ gli antichi reperti dai detriti (pietre, terra, arbusti) accumulatisi negli anni. È qui che sono entrati, ancora una volta, in gioco gli alpini. Vari gruppi di alpini – in maniera assolutamente volontaria, e mettendo anzi spesso a disposizione risorse e mezzi propri – si stanno da tempo impegnando nel recupero delle trincee, in accordo e con la supervisione della Comunità montana della Lessinia e del Parco dei Monti Lessini».

Sono stati selezionati tre itinerari storici, posti nella parte più elevata della Lessinia, che presentano le maggiori testimonianze delle opere e degli insediamenti difensivi.

I percorsi, di facile percorrenza (la lunghezza totale è di circa 15 chilometri), costituiscono un itinerario storico-culturale rivolto a quanti vorranno ammirare le testimonianze ancora ben visibili non solo di trincee, camminamenti, gallerie, postazioni di artiglieri, ma anche della vita in montagna degli abitanti di allora (baracche, alloggiamenti militari, pozzi, forni, ecc).

Questi itinerari sono identificabili dai capisaldi di origine militare che collegano i punti ritenuti più significativi: postazione di Malga Pidocchio, postazione di Castelberto, postazione di Cima La Guz-Cima Mezzogiorno, postazione di Cima Sparavieri-Pozza Morta-Bocca San Nazzaro-Malga San Nazzaro, postazione di Bocca del Vallone –Cima Trappola- Castel Malera – Passo di Malera.

LE TRINCEE IN LESSINIA

Il comando italiano riteneva che l’aspra morfologia del versante montuoso del confine austriaco, unita all’assenza di un’adeguata viabilità, potesse rendere difficoltoso il transito di truppe e artiglierie avversarie, garantendo, al contrario, una valida difesa. Sulla linea di confine posta sui ciglioni e i margini settentrionali dei Lessini (oltre 15,5 chilometri) furono realizzati circa 8.000 metri di trincee. Circa 50.000 i metri di reticolati, oltre quarantadue bocche da fuoco costituite da cannoni 87 b (bronzo), 120 ABG, obici da 75, 149 e 210 mm, centinaia le postazioni per mitragliatrici, sia in piazzole protette che in galleria o a pozzo, una settantina i ricoveri in caverna per uomini e provviste, centinaia le baracche in legno per ospitare la truppa e gli ufficiali, oltre a migliaia di metri di camminamenti e strade, impiegando stabilmente 3.500 militari del Genio e della Milizia Territoriale e 1.800 civili sottoposti alla disciplina militare.

La trincea assunse per il combattente il valore di protezione, di sicurezza, di abitazione, di conforto, di luogo dove esprimere le sensazioni più intime. Inizialmente era costituita da un solco più o meno profondo dove il combattente poteva stare in piedi e sparare mentre il terreno antistante lo proteggeva dalle pallottole o dalle schegge delle artiglierie. L’andamento planimetrico della trincea, generalmente, seguiva il naturale declivio del terreno e sfruttava gli anfratti rocciosi che venivano utilizzati come alloggiamenti.

 RIDOTTO DIFENSIVO DI MALGA PIDOCCHIO

La prima postazione recuperata dalle penne nere è la trincea di Malga Pidocchio. Si tratta di un vero e proprio fortilizio caratterizzato da trincee in parte sormontate da lastre di pietra e in parte predisposte con incisioni nelle pareti laterali per essere coperte con travature in legno e mimetizzate con ramaglie secche.

Per il collegamento tra Monte Castelberto e Malga Pidocchio e il paese di Erbezzo e quindi Bosco Chiesanuova (sede di caserme, panifici e strutture di servizio), venne realizzata una strada militare, costruita dalla 10^ compagnia della Milizia territoriale del 3° Genio nell’arco di soli 45 giorni. Questa strada attraversa e divide il vasto sistema difensivo del Pidocchio: la sua parte sinistra è organizzata all’interno di un blocco roccioso emergente e isolato dal terreno circostante, l’altra, posta sulla destra, si estende su un ampio colle circondato da varie trincee. I due postamenti difensivi sono collegati tra loro da una galleria sotterranea che attraversa la strada.

Nel blocco roccioso a sinistra, utilizzando, integrando, scavando le fessure naturali, è stato creato un reticolo di camminamenti, trincee, gallerie, postazioni in caverna.

L’artiglieria era costituita da 4 cannoni da 87 b (bronzo). La presenza di un rilevato numero di soldati dislocati tra l’opera difensiva di Malga Pidocchio e Campo Retratto creò la necessità di realizzare nell’area numerosi baraccamenti. Malga Lessinia, posta a breve distanza dal Pidocchio, era in origine una caserma italiana.

 Cos’è e a cosa serve un ecomuseo

Come ben chiarisce l’arch. Fiorenzo Meneghelli, progettista e direttore dei lavori con il geometra Flavio Melotti dell’opera di recupero del ridotto di Malga Pidocchio, l’esperienza degli ecomusei (termine coniato da Hugues de Varine nel 1971) nasce in Francia all’inizio degli anni 70, grazie all’intuizione del museologo Georges Henri Riviére. Diversamente dagli altri musei, racchiusi in uno spazio delimitato, l’ecomuseo si caratterizza per il legame con il territorio circostante. L’ecomuseo è qualcosa in più di una sequenza di sale da percorrere per ammirare opere d’arte: è un patto con il quale una comunità si impegna a conservare e valorizzare  un territorio inteso non solo in senso fisico, ma nel suo complesso.

«Con il nostro progetto di ecomuseo – conclude Melotti – vogliamo salvaguardare e divulgare la memoria collettiva della nostra comunità e della Lessinia che non deve essere conosciuta soltanto per i suoi meravigliosi paesaggi e la sua natura, ma anche per la sua storia e i suoi valori. Abbiamo cominciato a coinvolgere nel nostro progetto anche le scuole e vorremmo che i giovani ci seguissero sempre di più perché davvero non si può comprendere il presente senza conoscere il passato».

Beatrice Paglialunga